Nel pantheon dei grandi della Formula 1 la figura di Alberto Ascari occupa un posto di rilievo. Non solo per i suoi trionfi, ma anche per il destino tragico che lo ha colpito in modo così drammatico e inaspettato.
Nato a Milano nel 1918, crebbe in una famiglia dove il motorsport era già un’eredità, essendo il figlio di Antonio Ascari, anch’egli un pilota famoso dell’epoca. Alberto si distinse presto nel mondo delle corse, mostrando un talento naturale e una passione ardente per la velocità.
La sua carriera in Formula 1 iniziò nel 1950, quando questa disciplina aveva appena iniziato a definire la sua identità, unendosi alla Scuderia Ferrari e diventando ben presto uno dei nomi più rispettati nel circus.
Vinse il suo primo campionato mondiale nel 1952 sulla vettura di Maranello, replicando il successo l’anno dopo e ottenendo 11 delle sue 13 vittorie totali solamente in quegli anni.
Dopo un 1954 con poche partecipazioni, il Gran Premio di Monaco del 1955, seconda gara di quella stagione, è ricordato come uno degli episodi più emblematici della carriera di Ascari, nonché della storia della Formula 1.
Partecipava alla gara con la sua Lancia D50, una macchina che prometteva prestazioni eccezionali. Tuttavia, il destino aveva in serbo per lui un finale diverso.
Durante la gara, Ascari perse il controllo della sua auto alla chicane del porto, un punto noto per la sua difficoltà tecnica. La vettura sfondò la barriera e si tuffò nelle acque del porto di Monaco. In un’epoca in cui le misure di sicurezza erano ben lontane dagli standard odierni, il rischio di un incidente mortale era sempre dietro l’angolo.
Miracolosamente, Ascari emerse vivo, riportando solo lievi ferite.
Quello che seguì fu un colpo di scena degno di una tragedia greca. Solo quattro giorni dopo l’incidente di Monaco, Ascari decise di fare alcuni giri di prova a Monza con la Ferrari 750, nonostante non fosse programmato per guidare quel giorno. In circostanze ancora avvolte nel mistero, perse nuovamente il controllo del veicolo, schiantandosi fatalmente. La coincidenza che Ascari morì a 36 anni, esattamente come suo padre Antonio, in un incidente simile, aggiunge un ulteriore strato di fatalità alla sua storia.
Il tragico epilogo della sua vita non è solo la fine di una carriera brillante, ma anche un momento di profonda riflessione sulle insidie e i pericoli del motorsport. La sua morte, assieme alla tragedia di Pierre Levegh lo stesso anno nella 24 ore di Le Mans, sconvolse l’intero mondo delle corse, portando a una maggiore attenzione e a innovazioni nel campo della sicurezza dei piloti.
Questa storia, con il suo mix di talento straordinario, successi memorabili e destino tragico, rimane impressa nella memoria degli appassionati di motorsport. Il suo lascito è un promemoria potente della passione, del coraggio e della vulnerabilità degli eroi delle corse, figure che continuano a ispirare e a emozionare generazioni di fan.
RACEFEVER: alla velocità non si comanda.
Tommaso Fatichi
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